È un dato di fatto: abbiamo una vita professionale e una vita privata.

La scissione è netta, è inutile negarlo, e la mia domanda è: se alla vita privata dessimo lo stesso tempo, lo stesso impegno, la stessa determinazione che diamo normalmente al lavoro, non saremmo più efficaci? Più attenti?

Oggi parlo di Sara e della fine del suo matrimonio.
Emotivamente è a terra, anzi sottoterra: il percorso legale che ci si trova ad affrontare è costellato da decisioni che riguardano sì il denaro, ma anche le emozioni e la gestione di tutto è pesante e difficile da condurre.

Si è pieni di dolore, ferite ancora aperte, eppure è proprio in questo momento che bisogna affrontare questioni che avranno ripercussioni importanti per il proprio futuro.
Va salvaguardato il benessere psicologico dei figli, in prima istanza, il proprio benessere e poi “il patrimonio”.

 

Come dovrebbe essere la gestione famigliare

 

 

Per chi è un po’ più avanti di età, per come ci hanno insegnato, il matrimonio è un impegno per sempre, finché morte non ci separi, quindi nella famiglia standard, all’inizio non si pensa a come sarà gestito il patrimonio.

Il pensiero comune è la costruzione della famiglia, il benessere per la famiglia stessa.
La famiglia è il progetto da realizzare e nel quale credi al 100%.

Se questo progetto fosse paragonato a quello di una start up, per la sua realizzazione si sarebbe fatto un business plan, ad ogni membro della società sarebbero state assegnate delle mansioni, si sarebbero fatte riunioni su riunioni per capire il meglio da farsi.

Questo non accade nel matrimonio.

Per carità, non voglio togliere poesia alle unioni d’amore, ma parlare di economia familiare, di divisione di compiti, del futuro della famiglia serve a dare responsabilità ai membri della coppia affinché il “sistema” funzioni.

Serve a non dare per scontato che la donna starà a casa e l’uomo fuori, ma che può essere una necessità momentanea che dopo qualche tempo può venire meno.

Lasciare il proprio lavoro per il bene della famiglia o, anche, per favorire la carriera del marito, è più frequente di quanto si pensi.
Nulla da dire se questa scelta è condivisa.

 

Trattamento di fine “rapporto”: attribuirsi il giusto valore

 

 

Se c’è comunicazione e dialogo in ogni passaggio della gestione familiare si riconosce valore a tutte le persone che entrano in gioco.
In caso di separazione, il valore riconosciuto, il valore che ti riconosci, ti aiuteranno a capire quali sono le scelte migliori da fare.

Per Sara riportare alla luce tutto quello che ha fatto, valorizzare ciò che ha fatto (il tempo, la dedizione nella cura dei figli e della casa, l’impegno), vuol dire uscire dalla sfera emotiva e trattare la situazione come un vero e proprio TFR.

Chi lavora sa benissimo di cosa parlo: il TFR è la liquidazione, una porzione di retribuzione differita alla cessazione del rapporto di lavoro che viene riconosciuta al lavoratore subordinato.

In ambito professionale, se il nostro lavoro non viene riconosciuto, se al rientro dalla maternità ci demansionano, se subiamo mobbing o altro, siamo pronte a batterci.

In famiglia siamo le prime a lasciar correre per il quieto vivere, ci sacrifichiamo.

Solo tu conosci la tua situazione. Solo tu conosci come sono andate le cose nella tua relazione.

Prendi a piene mani il tuo valore, il tuo lavoro, il tuo tempo. Spetta a te dichiarare il tuo valore.

A te farti rispettare.

Alla fine sarà sempre un giudice a decidere, ma la cosa più importante è che tu abbia fatto giustizia a te stessa e che ti senta in pace con il tuo TFR familiare.